Le microplastiche rappresentano una crescente preoccupazione ambientale a livello globale; infatti, queste particelle solide, composte da miscele di polimeri e additivi, persistono nell’ambiente per secoli senza biodegradarsi. Sebbene non esista ancora una definizione ufficiale condivisa a livello scientifico, l’identificazione e classificazione delle microplastiche si basa sulle dimensioni e sulla composizione polimerica (sintetica o naturale chimicamente modificata).
Secondo ECHA le microplastiche sono particelle di plastica di lunghezza inferiore ai 5 mm. Lo standard EN ISO 24187:2023 le definisce invece come “particelle solide insolubili in acqua, di dimensioni comprese tra 1 e 1000 μm”.
Origine e rilascio nell’ambiente
In base alla loro origine si distinguono in: microplastiche primarie, ovvero rilasciate direttamente nell’ambiente sotto forma di piccole particelle, e in microplastiche secondarie, quando derivano dalla degradazione di oggetti di plastica più grandi (buste di plastica, bottiglie o reti da pesca).
Dal punto di vista dell’aspetto, le microplastiche primarie generalmente presentano forme abbastanza regolari, cilindriche, sferoidali o discoidali, poiché la loro produzione industriale conferisce loro una morfologia regolare.
Tra le microplastiche primarie vi sono quelle aggiunte intenzionalmente nei prodotti (circa il 2%) per conferire determinate funzioni (ad esempio, come agenti esfolianti nei cosmetici noti come microsfere), ma anche per il controllo dell’aspetto e della stabilità di un prodotto.
Esempi di prodotti che contengono microplastiche aggiunte intenzionalmente includono fertilizzanti, prodotti fitosanitari, cosmetici, detergenti, vernici e materiali di riempimento nei campi sportivi.
Si stima che circa 145.000 tonnellate di microplastiche vengano utilizzate ogni anno nell’UE/SEE e circa 42.000 tonnellate di microplastiche finiscano nell’ambiente a causa dell’uso di prodotti che le contengono.
Le microplastiche secondarie si formano dalla frammentazione e dall’usura di manufatti in plastica più grandi a seguito dell’uso, dell’esposizione agli agenti atmosferici o di processi meccanici. Rappresentano la quota maggiore di microplastiche presenti negli oceani, con una stima del 68-81%.
Tra le fonti principali di rilascio non intenzionale si annovera il lavaggio dei tessuti sintetici, considerato una delle maggiori fonti di microplastiche. Durante il lavaggio, l’usura dei tessuti dovuta al movimento e allo sfregamento degli indumenti rilascia microfibre. Il rilascio è influenzato da diversi parametri come il tipo di lavatrice, la quantità e il tipo di carico, la temperatura e la durata del ciclo di lavaggio, la velocità di centrifuga e l’utilizzo di detergenti. Studi hanno dimostrato un rilascio più marcato di microplastiche nei primi lavaggi, fenomeno amplificato nel caso della fast fashion. Sebbene la perdita di fibre diminuisca con i lavaggi successivi, l’usura dei tessuti con l’invecchiamento degli indumenti porta a un aumento della perdita. A livello globale, si stima che il rilascio di microplastiche negli oceani derivante dal lavaggio dei tessuti sintetici oscilli tra il 16% e il 35%.
Per l’Europa, grazie ai sistemi di trattamento delle acque reflue, questa percentuale si attesta intorno all’8% del totale dei rilasci primari in acqua. Tuttavia, è fondamentale considerare che le microplastiche possono essere rilasciate in qualsiasi punto della catena del valore del tessile, dalla produzione all’uso e cura, fino allo smaltimento, disperdendosi in acqua, aria e suolo. Le fasi di nobilitazione e tintura nella produzione tessile sono anch’esse fonti di rilascio.
Anche l’abrasione degli pneumatici durante la guida è un’altra significativa fonte di microplastiche secondarie.
Altre fonti non intenzionali includono la degradazione di plastiche monouso e altri rifiuti plastici come buste, bottiglie e reti da pesca, nonché il rilascio di pellet di plastica durante la produzione e il trasporto. Anche le vernici, i prodotti per l’edilizia, il settore automobilistico e le attività marine contribuiscono al rilascio di microplastiche non intenzionali.
Tutte queste particelle non si depositano solo negli ambienti acquatici, ma sono state rinvenute anche nell’aria, sia all’interno delle abitazioni (rilasciate da tessuti d’arredamento, tappeti, tappezzerie e indumenti) che all’esterno. Studi suggeriscono che i livelli di microplastiche nell’aria possano essere più elevati negli ambienti interni.
Anche il suolo è un comparto ambientale interessato dalla presenza di microplastiche, che vi possono giungere attraverso l’impiego di fertilizzanti derivati dai fanghi di depurazione o dai teli per la pacciamatura.
Esposizione umana e impatti
L’esposizione umana alle microplastiche avviene principalmente attraverso l’ingestione di cibo e bevande contaminate, l’ingestione di polvere e l’inalazione di aria interna ed esterna (considerata la via di maggiore contributo all’assunzione giornaliera totale).
Le microplastiche entrano nella catena alimentare attraverso l’ingestione da parte dei pesci e la contaminazione durante la lavorazione e il confezionamento degli alimenti. Diversi studi hanno rilevato la presenza di microplastiche fibrose (principalmente polietilene, poliestere e poliammide) in diverse specie ittiche.
Anche l’acqua e, più in generale, il cibo contaminato da microplastiche presenti nei suoli, contribuiscono all’esposizione.
Per quanto riguarda il corpo umano, microplastiche come polietilene (PE), polietilene tereftalato (PET), polipropilene (PP) e polistirene (PS) sono state trovate in vari tessuti e organi, inclusa la placenta, la pelle, il cuore, il fegato e i polmoni. Gli effetti sulla salute umana sono ancora oggetto di studio, ma in laboratorio l’esposizione a microplastiche è stata collegata a una serie di effetti (eco)tossici e fisici negativi sugli organismi viventi. Inoltre, le microplastiche possono trasportare sostanze tossiche sulla loro superficie. Uno studio ha persino confrontato il rischio di ingerire microplastiche mangiando cozze selvatiche con quello di respirare l’aria in una casa, rivelando che l’assunzione di plastica dalle fibre presenti nell’aria domestica (provenienti da vestiti e arredamento) è significativamente superiore rispetto a quella contenuta nelle cozze.
Regolamentazioni e politiche
A livello europeo, l’EU Zero Pollution Action Plan mira a una riduzione del 30% dei rilasci di microplastiche entro il 2030. Sebbene non esista ancora una legge onnicomprensiva sulle microplastiche, diverse normative specifiche affrontano il problema in modo parziale. Nel settembre 2023 è entrata in vigore una restrizione REACH sulle microplastiche intenzionalmente aggiunte ai prodotti. La restrizione prevede divieti graduali per diverse applicazioni, concedendo periodi di transizione per permettere alle aziende di sviluppare alternative.
La strategia europea per i tessili sostenibili individua tre vie principali per prevenire il rilascio di microplastiche dai tessili sintetici:
- design e produzione sostenibili;
- misure di manutenzione per controllare il rilascio durante la fase d’uso;
- miglioramento dei processi di smaltimento e fine vita.
Diversi Stati membri dell’UE e altri Paesi hanno adottato o proposto divieti nazionali sull’uso intenzionale di microplastiche in prodotti di consumo, principalmente per le microsfere nei cosmetici a risciacquo. Ad esempio, il Regno Unito ha proposto una legge che prevede filtri in grado di fermare il 90% delle MP > 10 μm entro il 2025. La Francia aveva una legge simile, poi ritirata dopo la notifica all’UE. Anche l’Australia prevede filtri entro il 2030, mentre la California ha visto un veto governativo su una proposta simile.
In Svizzera, i risultati dello studio dell’EPFL hanno mostrato che tutti i laghi svizzeri sono toccati dall’inquinamento di microplastiche e che, seppure in quantitativi considerati non preoccupanti, i pesci e gli uccelli acquatici le possono ingerire. Nei campioni di acqua analizzati sono state trovate mediamente 0,1 micro particelle per metro quadro, e quantitativi anche superiori a quelli tipicamente osservabili negli oceani.
Standardizzazione e metodi di prova
Un problema metodologico significativo nell’analisi delle microplastiche è la mancanza di protocolli di misura armonizzati, che porta a inconsistenza e scarsa comparabilità dei risultati. Tuttavia, sono in corso sforzi per la standardizzazione.
Le tecniche analitiche per l’identificazione e la quantificazione delle microplastiche devono essere in grado di determinarne le dimensioni e la composizione chimica in matrici spesso complesse. La microscopia vibrazionale, in particolare la microscopia infrarosso (micro-FTIR), è ampiamente utilizzata per la sua capacità di identificare i polimeri plastici.
Strategie di mitigazione
Affrontare il problema delle microplastiche richiede un approccio multiforme che coinvolga la progettazione, la produzione, l’uso, lo smaltimento e la ricerca di soluzioni innovative. Lo sviluppo di nuovi materiali eco-sostenibili e biodegradabili, nonché di materiali derivanti dal recupero di scarti di produzione e post-consumo, rappresenta una via promettente. Anche l’adozione di nuovi metodi di processo orientati alla sostenibilità, al riciclo meccanico e termo-meccanico, al sorting avanzato e alla misurazione della biodegradabilità sono cruciali.
Nella fase di utilizzo, misure come la riduzione della temperatura di lavaggio, l’uso di detergenti liquidi e il corretto carico della lavatrice possono contribuire a limitare il rilascio di microfibre dagli indumenti. L’installazione di filtri per microplastiche nelle lavatrici si è dimostrata efficace nel catturare una significativa percentuale di microfibre rilasciate durante il lavaggio.
Anche il tessile per arredamento dovrebbe essere considerato per il suo potenziale rilascio di microplastiche.
Il miglioramento dei processi di smaltimento e fine vita dei prodotti tessili e plastici è essenziale per prevenire la formazione di microplastiche secondarie.
Le microplastiche rappresentano una sfida ambientale complessa e multifattoriale, con implicazioni che spaziano dalle sorgenti di rilascio agli impatti sugli ecosistemi e sulla salute umana. La mancanza di una definizione univoca e di protocolli di misurazione standardizzati complica ulteriormente la valutazione e la gestione del problema. Tuttavia, la crescente consapevolezza ha portato a significative iniziative a livello normativo, di standardizzazione e di ricerca, con l’obiettivo di ridurre il rilascio di microplastiche e mitigarne gli effetti.
Un approccio integrato che coinvolga la responsabilità dei produttori, dei consumatori e delle istituzioni è fondamentale per affrontare efficacemente questa pressante problematica ambientale.
Articolo redatto per HSE Ticino da Franca Fardini, vice-presidente